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La storia di Morrone del Sannio
L'Apprezzo del 1593


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ell' antica biblioteca degli avi materni, i Cinelli, quegli autentici amatori d'antiche cose che sono i fratelli Vittorio e Nicola de Benedictis, hanno ritrovato un'importante copia notarile settecentesca d'un apprezzo di Morrone, eseguito nel 1593 dal  «tavolario » napolitano Aniello di Gennaro, al quale da Alfonso D'AvàIos d'Aquino, marchese di Vasto, Principe di Pescara ecc. ecc. luogotenente del Magno Camerario del Regno di Sicilia ecc. fu commesso ed ordinato che si dovesse «personalmente conferire in la Terra predetta et quella, et soi entrate, et frutti » apprezzare minutamente, essendo ciò necessario per risolvere la vertenza fra il Magg. Ferrante Carafa, di Morrone allora signore, ed i suoi creditori.
Si apprendono così notizie affatto ignorate prima, se ne confermano o smentiscono o rettificano altre, e tutte per la storia molisana sono di grande interesse.
Vi erano allora a Morrone duecentodiciannove fuochi,(nuclei familiari) ma «sessantacinque case  vaque et deserti, fra le quali ventisette del tutto ruvinate, et cascate, per essennosi partiti li habitatori et andati in altri paesi» perché scomunicati dal Vescovo di Larino a causa delle liti sulle decime pretese e da lui stesso e dal barone oltre che dal locale clero.
Mura cingevan le case, disposte in lungo, e divise da «una strada maestra, quale comincia  dalla Porta de S. Angelo, et finisce alla Porta del Cornicchio, appiedi Il Castello », avante del quale Castello vi è un certo largo piano, che da bona vista, in mezzo la Terra vi è un'altra stradella per traverso, che da alla terza porta detta la Portabrezza . Oggi solo quest’ultima è rimasta col nome di Porta Celsa e la strada che vi mena è Via Roma, mentre della prima si parla solo raramente,  della seconda s'è persa ogni memoria.
Le case eran tutte basse, ad un « suolo » o piano, coperte di scandole tranne quella baronale, «fatta ad modo di castello, et così dimandato da tutti». fornita di scarpata, mergolatura, cortile, cisterna (l'eterno problema, dell'acqua, quassù!), e ponte levatoio e stalla (ancora oggi denomina stalla della corte), e due magazzini per grano. Manca invece la prigione, per la quale era stato comperato e riattato un altro edificio, che comprendeva anche una saletta, due camere ed una cucina, ad uso del Capitano.
Delle tre chiese esistenti, la «grande capace del Popolo detta S. Maria» era malguarnita di paramenti, e tra l'altre reliquie possedeva un braccio di S. Roberto da Salle, qui vissuto e morto, della quale non vi è più traccia alcuna; vi officiavano nove preti degli ordini maggiori e minori, miseri fin nell'abito: i suoi terreni erano lasciati incolti per la predetta causa di non pagare un terzo dei raccolto in decime; San Giacomo è oggi cadente, diruto, e Santo Angelo non esiste più. La Badia di Santa Maria Casalpiano, appartenente a Fabrizio Carafa, godeva di privilegi papali, e fiorenti erano pure il Monastero di S. Roberto dello Ordine Celestino e più quello di S. Nazario, dei Zoccolantí fornito anche di ricca biblioteca.
Allora come oggi, l'acqua «fresca et bona», veniva attinta alle fontane Pozzillo e Schiavonesca, dopo« faticoso  camino, penninoso et sassoso». Al Biferno, v'erano barchere e Molini del Barone, si pescavano anguille e barbi. Nei campi, in gran parte seminatori, si producevano buoni grani in abundanzia, orzi, , legumi e lino in copia (coltura oggi inesistente), « vini bonissimi», ma poco olio, ch'era importato; il resto era bosco, parte del quale fu estirpato per ordine del barone « da certi Schiavoni che ha fatto venire ad abitare in detto Feudo, et sono da sette fochi».
V'era un notaio, ma mancava medico e speziale. Tutta la «Terra» fu dal Tavolario apprezzata circa trentamila ducati, ma -egli asserisce- la povertà e la miseria che si vedeva dappertutto son frutto delle angherie baronali, tutte annoverate, e delle liti allora in corso fra Barone e Vescovo  e la comunità dall'altro.
Quale miglior commento e ammonimento?

VITT. MASTROMONACO

 


 


Copia dall'originale dell'Apprezzo

a Terra di Morrone sita nella prov.(provincia) di Molise distante da questa Città di Napoli miglia sessanta da Campobasso dodici, da Benevento trenta, dalla città di Larino otto da Coglionisi (Guglionesi) dodici, dalla marina miglia sedici in circa. Secondo la nova et ultima numerazione N. 219 dico duecentodiciannove fochi, perché dopo la numerazione per quello che ne mostra è mancata, atteso,(attesto?) vi sono da sessantacinque case vacue, et deserti , fra le quali ve ne sono ventisette del tutto ruvinate, et scasate per essennosi partiti li habitatori per quanto dicono et andati in altri paesi per le liti che se sono avute et ne teneno con lo signore Barone di quella e co il reverendo Vescovo di Larino circa le decime sopra, dal che ha proceso ad escomunicazione di detti cittadini di essa Terra.
Sta situata sopra un monte alto, che tiene due miglia de saluta (salita) da ogni parte dalle case de cittadini medesimi ha del lungo et tiene una strada maestra quale comincia dalla porta di S. Angelo et finisce alla porta del Cornicchio appiedi il Castello, avanti del quale Castello vi è un certo largo piano che dà buona vista, in mezzo la Terra vi è un’altra stradella per traverso che và alla terza porta detta la Portabrezza. (Oggi porta Celsa). Le case di detta Terra sono case ad un suolo (piano) quase tutte all’usanza d’Apruzzo e coverte da scandole (legno) .
Vi è la casa del signor Barone fatta ad modo di Castello, e così dimandata (chiamata) da tutti in quanto con sua scarpa (scarpata)et mergolatura (merlatura) con cortiglio dentro, et una cisterna con comoda abitazione et davanti che s’entra alla porta vi è un ponte, con fosso sotto, per passare.
Fuora il detto Castello tiene la stalla con due magazzini per grano, tiene un’altra casa comprata nuovamente (di recente) nella quale vi ha fatto fabbricare, consistente in una saletta et due camere con cucina sotto che al presente serve per carcere, perché in detta casa risiede il capitano e per non essere commodita bona da carcere nello Castello per rispetto del signor Barone.
La fabbrica di detto Castello è vecchia , e minaccia ruina benché in parte sia stata accomodata dal Barone.
Tiene dentro la Terra tre ecclesie l’una grande capace del popolo, di S. Maria, sta mal guarnita de paramenti e sono alcune reliquie e tra l’altro il braccio di Santo Roberto molto devoto a detta Terra, vi sono alcune cappelle di confraternita e di particolari sta servita da nove preiti quattro sacerdoti, che uno d’essi tiene la dignità di Arciprete, tre preiti d’Evangelio (diaconi) e due di ordine minore , che in tutto sono nove.
Tiene alcuni territori, li quali se si coltivassero tutti saria da bona rendita, ma perché il Vescovo vuole la decima sopra de che n’è lite, et vi sono stati escomunicati, no lo coltivano per non dare la decima alli preti e l’altra decima al Vescovo.
Al presente dicono che tengono da ....(parte illeggibile).... 160 de grano con pochissima parte de legume et de lino, che viveno miseramente, et lo dimostrano nell’abbito.
L’altra cappella de Santo Jacovo è piccola , a beneficio si ne cura l’abbate Mario Rinaldo da Stilo, rende da quindici et è ad....(parte illeggibile)....del Vescovo come di sopra, et altra cappella de S. Angelo e' Grancia dell’Abbatia de Santissima Maria de Casalpiano, la quale Batia è fore la Terra di circa un miglio distante che è del sig. Fabrizio Carrafa, dicono essersi conferita da Sua Santità, rende da circa Docati centosettanta però prima dicono  che rendeva molto  più avante de detta lite, perché se seminavano tutti li territori di detta Abbatia, che sono in gran parte fore della Terra un miglio.
Vi è un Monastero di S. Roberto dell’ordine Celestino, vi stando due monaci, et uno servente, il Monastero si è formato con ordine, vi sono comodi, dicono tenere da circa Ducati centocinquanta d’intrata de’ territorij, che fanno coltivare, et vigne, et un altro Monasterio de’ Zoccolanti per mezzo miglio distante detto Santo Nazzario, vi sono otto Monaci quattro Sacerdoti quattro Laici vivono elemosinante, atteso, lo Barone le dà trenta di grano, e quindici barili di vino, il Monastero sta ben formato con plaustri, giardinetto,refettorio,et altre comodità, et per il resto del vivere l’hanno dai cittadini et dalle Terre convicine, et tengono uno animale con lo quale vanno fare per la elemosina, è distante mezzo miglio.
Vi è un’altra Cappella deruta de S. Gio de Ruggii detto San Giovanni dei Rossi beneficio rurale del Reverendo Don Paolo Cornelio, tiene d’intrata de Terraglio dà circa Ducati venti in venticinque.
Dentro la Terra non vi è acqua et per abbeverare li animali fuora di detta Terra da circa un quarto di miglio, ha due fontane, che vi sono una da parte, e l’altra dall’altra parte di detta Terra, una detta la Schiavonesca et l’altra lo Pozzillo, fontane rustiche con beveratura con due cannelle per ciascheduna, acqua fresca et bona, però è penoso lo cammino, per essere penninoso,(collinoso?) e sassoso.
Al basso da circa due miglia vi è il fiume detto Biferno, fiume grosso, che produce anguille et pesce che li nominano Barbi, dove sono le moline del signore detto signor Barone, et le Barchere vi sono altre acque per lo territorio che sgorgano da poco momento che più presto sono acque dell’inverno perché d’estate vi è pochissima acqua, sotto la Terra verso Campobasso sono situate le vigne per circa mezzo miglio distante dove sono alcuni piedi d’olive, e di frutti, fanno vini bonissimi, et a bastanza all’uso d’essi, poco oglio, però ne viene da fore spesso et a bon prezzo.
Distante dalla Terra da circa due miglia vi è un bosco de Cerri, ed altri legnami salvaggi detto lo demanio della Terra, da circa mezzo miglio di circuito, dal quale servono li cittadini per uso di legna, et contiguo al medesimo vi è un altro bosco detto il feudo di Castiglione, da circa un miglio e mezzo de circuito quale è del signore Barone, et lo ha fatto stirpare in parte, et estirpando da certi Schiavoni (popolazione proveniente dall'attuale Dalmazia) che ha fatto venire con abitare in detto feudo et sono da sette fochi,(sette nuclei familiari) vi è un altro bosco detta la difesa de Colle Pezzato, de cerque, che la tenea prima l’unità, con la bagliva,(tribito per il passaggio delle pecore) che da due anni in qua l’ hanno venduta al Barone.
Il rimanente territorio è campese, et seminatorio è territorio fertile se ben è sassoso et cretoso, vi fanno buoni grani in abundanzia, non solo a bastanza, ma ne vendono, e lo portano a Campobasso, et se coltivasse tutto il territorio, come era prima avanti la lite di Monsignore ve n’erano grosse quantità de grani, fanno orzi, che ne vendono et legume, et lino a bastanza che non troppo se ne delettano de seminare.
La gente di detta Terra sono rustiche, vi è un Notare, due calzolari, tre ferrari et due cositori, (sarti) non vi è Speziale ne Medico, vanno a Campobasso et a Larino, et alle Terre convicine quando ne hanno de bisogno.
La Terra è di buono aere, si bene è ventosa per stare così eminente, che vi può ogni vento. La Terra in se è povera, non tiene cosa di proprietà per apprezzo, et si paga Carlini quattordici per Oncia , tiene di debito da circa Ducati quattromila causato dalle liti, che ha tenuto, et tene, tanto con il Barone, quanto con il Vescovo come si è detto di sopra.
Li cittadini sono la maggior parte poveri, che vivono alla giornata, che vanno a stare con altri in Puglia a guardare animali, et fare lo campo, et altri pochi fanno lo campo, vi sono pochi bovi, che non arrivano a venticinque para (paia), da circa sessanta vacche, da mille e cinquecento pecore et cinquanta porci che si possiedono dalli cittadini.
Lo Catasto, et hanno declamato detti cittadini, che per causa di dette liti, et debiti se ne sono fuggiti, et falliti molti cittadini. Li predetti animali li mantengono nel territorio di detta Terra quale è assai da circa sette miglia di circuito.
Confina con lo territorio de Casacalenna, la Lupara, la Ripa, Provvidenti, Castello de Lino et Locitto (Lucito).
Il detto territorio è tutto cretoso, e petroso, come ho detto, e quasi la maggior parte è quasi tutto penninoso, e tra valle et colline li vassalli predetti della lite deveno li infratti servitij al Barone et conciavano lo ....(parte illeggibile)....el Molino, et il Barone li dava il pane, et lo vino il quale servizio se presta ancora, ma sempre con ese …(parte illeggibile)… conciavano la Lamatura, dove se fermano le pietre et arena, che porta il fiume, et per dir meglio erano obbligati a nettare le forma, carrigiavano le pietre delle mole, et li lignami per congiare le barchere, et salivano lo grano dal Molino alli magazeni prediali del Barone al Castello, le quali ancherie, et servitù ha preteso, et pretende l’unità non esser obbligata, et lite pendente dice averne avuto decreto in favore, che siano obbligati ad....(parte illeggibile)....

A mente il Camerlengo che se ne è per giurato della Corte.

Il processo originale dell’apprezzo sta nell’archivio della Regia Camera, e propriamente nell’Altissima-Ultima Camera sotto i tetti.
Ciff. A e B.

L’apprezzo si fece nel 1593

 

 

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